Le storie de Il Bosco: intervista a Francesco Pedrini
In questa breve intervista tratta dal nostro podcast "IL BOSCO | Storie di sostenibilità", Francesco Pedrini, operatore visivo, docente e vicedirettore del Politecnico delle Arti di Bergamo con delega alla direzione dell'Accademia Carrara, ci parla del legame tra arte e sostenibilità, raccontandoci l’influenza che la natura ha avuto nella sua vita d’artista.
Francesco Pedrini ci parla dell’influenza della natura sulla sua vita d’artista e docente.
Francesco Pedrini
Artista, docente e vicedirettore del Politecnico delle arti di Bergamo, con delega alla direzione presso all'Accademia di belle arti G. Carrara di Bergamo.
Cos’è per te l’arte e l’ambiente?
È una domanda difficile a cui rispondere perché è un rapporto a mio parere che si compie su diversi livelli. È ovvio che oggi gli artisti abbiano una sensibilità attorno a quello che ci sta succedendo – c’è il riscaldamento climatico, insomma, tutti i vari problemi che tutti noi conosciamo – e siccome l’arte ormai ha un filo indissolubile con la realtà, cioè l’arte ha accettato l’incursione della realtà e gli artisti all’interno del proprio fare, quindi dobbiamo farci i conti con la sostenibilità e con l’ambiente.
Ogni tanto perdersi è interessante, soprattutto come hai fatto tu che ti si è perso nella natura: ce lo racconti?
Dopo questo periodo legato alla simulazione del paesaggio ho deciso di attraversarlo, il paesaggio, quindi ho cominciato a utilizzare il cammino come strategia di conoscenza del mondo. Sono andato in Sud America qualche mese, prima in Argentina poi in Cile, e lì ho fatto delle esperienze fortissime di perdita totale di me stesso. Sono stato nella Puna Argentina nel nord. Ho fatto però esperienza anche dell’infinito: solo in mezzo a un deserto a guardare il cielo. […] Ho fatto esperienza del vento in maniera fisica e potente. Ho fatto esperienza delle stelle in maniera fisica e potente. […] Ci sono luoghi in cui il nulla e l’infinito si toccano, e ho capito che dove non c’è quasi nulla, lì dentro, forse, c’è il concetto di infinito. È un ossimoro, è un paradosso. [..] Io credo che la natura è bellissima perché è indifferente: noi dobbiamo capire che la natura è indifferente con noi, e noi abbiamo, credo, il nostro peccato originale, diciamo così.
È nata una nuova mela?
È un altro albero genealogico: lo abbiamo costruito tutto attorno a questa nostra voglia di essere antropocentrici credendo di poterci prendere ciò che volevamo della natura. Invece poi, quando ti trovi solo di fronte alla natura hai l’esperienza totale che siamo solo un momento, un piccolo momento che all’interno della storia dell’universo crediamo di poter influire qualcosa. In realtà non è così, ma allo stesso tempo questo piccolo momento io credo che sia fondamentale capire di esserne parte e che possiamo spostare solo poco, però lo stiamo spostando, e che questo nostro momento è un dono che dobbiamo ogni giorno riuscire a fare nostro.
Coi tuoi studenti riesci a far sì che la sostenibilità diventi uno dei principi guida per la ricerca artistica?
Sì, lo faccio in maniera indiretta. L’invito ai miei studenti è quello di viaggiare e di vedere il mondo e la natura. Noi siamo fortunati anche che essere a Bergamo per due motivi, ma quello più principale, quello più bello è che noi siamo vicini a una natura bellissima: le nostre montagne i nostri luoghi i nostri boschi…
Andate nel bosco?
Faccio dei workshop in cui li porto nei parchi, nei boschi…
Raccontaci di questi workshop, li fai con gli studenti in un luogo immerso nella natura?
Sì, assolutamente, ne faccio e ne ho fatti diversi; facciamo sentieri creativi – quest’anno sulla Maresana, proprio la Ca’ Matta a Bergamo – e sono momenti in cui si cammina insieme e si usa il corpo come dispositivo di rilevazione. […] È un lavoro anche acustico di rilevazione sonora, di capire alle varie altezze come fare delle mappe segnando un certo suono di un uccellino di un certo tipo a una certa altezza; cioè, utilizzare il corpo come dispositivo di lettura. Quindi, ci sono queste due cose che ormai: di rilevare e poi essere in grado di rivelare quello che tu hai sentito. È un’esercitazione che un artista deve saper fare. È questo il punto: un artista deve rivelare, non deve fare solo ricerca, è un pretesto per poi esercitarsi alla forma, altrimenti diventa difficile poi avere la propria indole a produrre qualcosa in una direzione fertile.
Qual è il mezzo che rappresenta meglio l’ambiente, la natura, la sostenibilità; ce n’è uno che prediligi?
Foglio e matita. C’è un’autonomia sua del disegno, è una cosa molto didattica e formativa, che se tu non sai disegnare devi fare i conti con il fallimento continuo. Utilizzo anche altro: il video. Sono stato recentemente in Basilicata a fare un video su questi ascoltatori del cielo…
Ascoltatori del cielo?
Tutto è un riferito al cielo: ciò che faccio ha sempre un’attinenza diretta o in diretta al cielo. Ho studiato per molto tempo la questione di come confrontarsi col cielo, e da lì sono partite delle suggestioni bellissime tra cui questa che durante la Prima Guerra Mondiale c’era proprio un gruppo di soldati chiamati “ascoltatori del cielo” che erano utilizzati per sentire prima degli altri, attraverso delle grandi orecchie che erano delle trombe, gli aerei. […] Io ne ho fatte una serie, artigianali, e una volta costruite erano oggetti di scena per questo viaggio, di cui ho realizzato un video. C’è questa banda di paese che porta questi oggetti in giro per il Parco del Pollino in alcuni posti fantastici e poi, invece che suonare, si mette ad ascoltare il silenzio.
Questo ascolto del silenzio in realtà non è silenzio: mettendo questi strumenti sulle orecchie fanno un suono – che si sente poi nel video – come se il silenzio provocasse un’orchestra sonora.
E nella natura il silenzio per te esiste o non esiste?
Non esiste il silenzio per mille motivi fisici, fisiologici, organici; e anche non esiste silenzio perché la natura è piena di suono, anche in un deserto.
Immaginati in una foresta amazzonica: la tua presenza d’artista lì dentro come si sente?
Lì cerchi di essere silenzioso ed essere uno strumento d’ascolto, e questo strumento d’ascolto poi, però, deve riuscire a prenderci degli appunti – che sono mentali o su taccuini o su registrazioni – per poterli poi ridare in qualche maniera.
Pubblicato in:
Marlegno, Racconti di sostenibilità
Data: 18.07.24
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